AND THE COLORED GIRLS SAY:
DOO DA DOO DA DOO DA DOO
di Elisabetta Consonni
26 agosto, ore 21.30, Sala della Repubblica
segue Incontro con l'Artista / Explorer
Ingresso € 10 intero / € 7 ridotto possessori CARD AMICO
https://www.hangartfest.it/card-amico
AND THE COLORED GIRLS SAY: DOO DA DOO DA DOO DA DOO
Ideazione e coreografia: Elisabetta Consonni
Interpreti: Daniele Pennati, Masako Matsushita, Elisabetta Consonni, Susanna Iheme
Assistente alla coreografia: Francesco Dalmasso
Disegno luci: Irene Innocenti- Maria Virzì
Consulenza ritmica: Fabrizio Saiu
Costumi: Indetail (Lucia Sandrini)
Consulenza vocale: Chiara Osella
Produzione: Teatro Grande di Brescia, Aiep-Ariella Vidach
Col sostegno di: Zona K, Ilinx, theWorkRoom-Fattoria Vittadini
Si ringrazia AMAT per la gentile concessione della Sala della Repubblica
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And the colored girls say: doo da doo da doo da doo è un concerto di voci non in capitolo, di seconde voci, comparse e sfondi. È uno show senza la star. Un’immagine senza l’oggetto messo a fuoco. È Il bianco attorno alle parole scritte. È tutto quello che sta oltre una linea di margine e a cui non è dato entrare nella luminosa zona delle luci della ribalta.
Ci vuole una particolare attenzione ed intenzione per distinguere i cori delle cantanti background di una canzone così come per notare gli sfondi e tutto ciò che sta attorno ad un oggetto posto al centro. È indispensabile attivare quella che l’architetto Juani Pallasmaa chiama visione periferica, contrapposta all’ egemonica vista focalizzata che attribuisce importanza e potere solo al centro. È questa visone periferica che ci fa notare chi sta al margine, chi non può varcare un confine imposto, chi aspetta nel limite di piccoli movimenti e di ritmi dati ed è tuttavia capace di giocare con quei limiti.
È in quel margine che persevera quella che il filosofo Zaoui chiama discrezione o arte di scomparire, necessaria forma di resistenza in una società che vive di spettacolarità. È la necessità di un “non nascondere nulla fino a non avere più nulla da mostrare, fino a rendere la propria presenza impercettibile. È un’arte della sottrazione non per negare ma per affermare se stessi”.
And the colored girls say: doo da doo da doo da doo (da Walking on the wild side di Lou Reed) è una dichiarazione d’amore verso tutto questo. È un elogio del margine.
And the colored girls say: doo da doo da doo da doo è una performance di movimento e suono che indaga il concetto di margine a partire dal fenomeno delle background singers, quelle figure, spesso donne, che sono collocate nella parte posteriore del palco, a ‘20 feet from stardom’, per intervenire solo con poche parole o frasi o suoni. La scelta di questa immagine ha un forte il riferimento alla realtà contemporanea, e non solo, in cui si insinua costantemente un’ossessione di un margine oltre cui certi gruppi devono essere relegati perché un centro possa brillare ed essere sicuro; gruppi e individui che, benché considerati inadeguati/indecorosi per una situazione da luci della ribalta, contribuiscano in modo cruciale alla vivibilità e bellezza di quella stessa situazione. Nonostante le loro importanti capacità musicali, le back up singers possono cantare/prendere parola solo quando la struttura ritmica lo concede.
Un centro luminoso perennemente vuoto e una margine buio. Tre soggetti si muovono costantemente in questo margine buio scomparendo e mimetizzandosi con lo sfondo grazie ai loro abiti di glitter nero su sfondo nero, brillanti di luce non propria ma riflessa.
A livello spaziale, il movimento è costantemente costretto alla ricerca del margine e del contorno; quel frangente che difficilmente si guarda perché l’attenzione è sempre rivolta verso il centro. Al centro, in contrasto con il margine in penombra, uno spot molto luminoso nel quale è presente una piccola statuetta di una star (un uomo bianco), difficile da distinguere, che inneschi in chi guarda il meccanismo di decidere se guardare il centro focale o la periferia. La drammaturgia spaziale privilegia il negativo piuttosto che il positivo. Tre microfoni con asta definiscono il limite spaziale assumendo peraltro anche il valore simbolico di barricata.
La costruzione coreografica parte da movimenti tipici delle coriste background della musica Soul e Motown, che consistono per lo più in piccoli movimenti, precisi, ripetuti, contenuti e vincolati spazialmente dalla presenza di un microfono con asta frontale. Da questo deriva un meccanismo coreografico e architettonico che si combina con una partitura ritmica e canora precisissima, nel quale le tre figure si destreggiano. Per cantare solo i cori background di brani molto famosi, è necessario imparare a memoria la partitura ritmica dell’intero brano e sapere esattamente quando si deve intervenire. Quello che si crea in chi ascolta è il riconoscere vagamente il brano che risulta molto diverso da quello che si è solito ascoltare.